Ci sono esperienze che non si raccontano. Si respirano.
Entrano nei pori, si posano sul cuore come un profumo che non va più via, anche quando ti allontani. Euroflora 2025 è stata così.
Appena ho varcato l’ingresso del Waterfront di Levante – una rinascita urbana firmata da Renzo Piano, che ha restituito respiro e bellezza a Genova – ho capito che non stavo per visitare una semplice esposizione floreale.
Stavo entrando in un altro mondo. Un mondo che profuma di futuro, di armonia, di bellezza viva.
Euroflora 2025 non è un evento, è un’emozione lunga 85.000 metri quadrati.
Un inno alla vita e alla natura che si snoda per oltre 4 chilometri tra giardini sospesi, installazioni spettacolari e paesaggi da sogno.
È una sinfonia di colori, profumi, tecnologie e culture che parlano tutte le lingue del mondo – perché la natura è il linguaggio universale dell’anima.
Non è facile scegliere da dove cominciare, perché ogni angolo è un universo a sé.
Ma se chiudo gli occhi e torno indietro a quei momenti, mi rivedo ancora sul ponte pedonale in legno d’abete del Padiglione Jean Nouvel, lungo 140 metri.
Era come galleggiare su un tappeto di fiori, con le onde del mare sullo sfondo e il profumo di lavanda e basilico che si mischiava all’aria salmastra.
E poi il Padiglione Blu, trasformato in un caleidoscopio naturale: laghi, marine, borghi, piazze, parchi e addirittura campagne in miniatura.
Tutto ricostruito con una maestria che toglieva il fiato.
Ma il cuore pulsante, l’anima profonda di questa edizione, era nella sua narrazione: quella della wehem mesut, la rinascita secondo l’antico Egitto.
Il giardino egiziano, realizzato in collaborazione con il Museo Egizio di Torino, mi ha letteralmente catapultato nel tempo.
Camminare tra papiri, fior di loto e alberi di palma in un’atmosfera che profumava di storia, era come essere parte di un antico rito di bellezza.
Un’installazione viva, che parlava di passato e futuro insieme.
E poi il Bhutan. Per la prima volta a Euroflora.
Un piccolo regno, lontano nel cuore dell’Himalaya, che ha scelto la felicità come misura del progresso.
Il loro giardino, con il papavero blu e il cipresso nazionale, era più di uno spazio espositivo: era un messaggio di armonia, di rispetto per la natura, di visione.
Ma Euroflora è anche scienza, innovazione, sogno tecnologico.
L’ho visto con i miei occhi nella serra spaziale di Space V, accompagnata dalle parole appassionate dell’esperto.
Coltivare nello spazio non è più fantascienza. È realtà.
E nella biosfera sottomarina di Nemo’s Garden, le fragole e il basilico crescono sott’acqua.
Un futuro in cui l’agricoltura si fonde con l’ingegno.
Ogni passo dentro Euroflora è una scoperta. E ogni scoperta un’occasione per guardare il mondo con occhi diversi.
Dai robot dell’Istituto Italiano di Tecnologia alle installazioni dedicate alla biodiversità dei Carabinieri Forestali, ogni spazio era pensato per educare, meravigliare, ispirare.
E poi c’è Genova. Che per dieci giorni ha smesso di essere solo una città.
È diventata un giardino diffuso, un teatro verde, una poesia urbana.
Il “Corridoio fiorito” di Brignole, il “Gozzo fiorito” a Boccadasse, le piazze vestite a festa.
Un’intera città che ha deciso di accogliere la bellezza e celebrarla come merita.
E come dimenticare la Lanterna verde di A.Se.F., simbolo di Genova, vestita di muschio e fiori, o la fontana di fiori che troneggia al centro del Padiglione Blu?
O il ranuncolo Giannina, nuova varietà dedicata all’Ospedale Gaslini, simbolo di un legame profondo tra scienza, cura e natura.
Euroflora 2025 è stata tutto questo. E molto di più.
È stato un dialogo tra arte e botanica, tra ricerca e sentimento, tra cultura e creatività.
Un’esperienza sensoriale, emotiva, quasi spirituale.
Un viaggio attraverso le stagioni, dentro e fuori di me.
Ogni fiore raccontava una storia, ogni pianta una speranza, ogni angolo un sogno.
Ed è stato proprio il cuore a guidare i nostri passi.
Abbiamo scelto di guardare con occhi attenti e innamorati, lasciandoci incantare dai dettagli più piccoli.
Non quelli che gridavano meraviglia, ma quelli che sussurravano emozione.
Abbiamo fotografato particolari nascosti, quelli che raccontavano l’anima più intima del percorso.
I particolari del cuore:
alcuni versi di una canzone di De André scolpiti nel verde,
origami a forma di pesci che sembravano volare nell’aria,
un cespuglio di margherite rosa pallido nascosto tra il fogliame,
la sagoma leggera di un delfino che spruzza acqua, ricoperto di edera...
Gesti silenziosi, dettagli che parlano piano. Ma sanno restare.
Sono questi i ricordi che abbiamo portato via con noi: un po’ nascosti, un po’ segreti, ma pieni di luce.
Tra un padiglione e l’altro, in una giornata che profumava già d’estate, ci siamo concessi una pausa.
Il sole alto nel cielo, le voci leggere che si mescolavano al fruscio delle foglie, e quel desiderio improvviso di qualcosa di autentico ci hanno guidati quasi per istinto verso un "sapore di casa": la Focaccia di Recco.
Un richiamo irresistibile, come una memoria che affiora all’improvviso.
La sua sfoglia sottilissima, dorata come sabbia al tramonto, racchiudeva un cuore cremoso che si scioglieva al primo morso.
Era più di uno spuntino: era una carezza salata, un rito semplice ma profondo, capace di raccontare l’anima della Liguria senza bisogno di parole.
Perfetta da condividere, la Focaccia di Recco IGP ha saputo superare i confini regionali e conquistare il mondo, portando con sé il profumo delle cose vere.
Nel 2019, il food writer Sebastian Modak la inserì tra i motivi per cui valeva la pena intraprendere un viaggio in Liguria: un gesto che, da solo, ha acceso la curiosità di lettori e buongustai oltreoceano.
Ma oggi, lì tra i fiori e il mare, non pensavamo ai titoli dei giornali.
Pensavamo solo alla felicità semplice di quel momento condiviso.
Perché anche il gusto, quando è autentico, diventa parte del ricordo.
Un altro piccolo particolare del cuore.
Foto: Giovanna Dal Magro
Testo: Gloria Giovanetti