Dal 20 al 25 febbraio sarà in scena al Teatro Menotti di Milano “Il Giuramento” scritto da Claudio Fava e diretto da Ninni Bruschetta

Nel 1931 fu imposto a tutti i professori universitari di giurare fedeltà al regime fascista. Solo 12 professori su oltre 1200 rifiutarono di prestare giuramento. Claudio Fava racconta la storia di uno di loro, che rappresenta i pensieri e i gesti di tutti coloro che ebbero il coraggio di dire “no”, consapevoli di andare incontro a conseguenze pesantissime per le loro vite professionali e personali. A guidarli, secondo Fava, fu «l’incapacità della menzogna, il rigore illuminista del sapere, la noia per le liturgie del fascismo. Ma anche l’intuizione sul destino del paese, sul modo in cui furbizie e conformismi avrebbero trasformato l’Italia di quegli anni in una terra senza libertà e senza decenza».

Le teste si possono tagliare o contare. Il regime fascista, nelle università italiane, scelse entrambe le soluzioni. Di teste ne contò milleduecentotrentotto. Dodici furono quelle che tagliò. Eroi per caso di un’Italia civile a cui era rimasta solo quell’estrema risorsa di dignità: il diritto ad un rifiuto. Accadeva il 13 novembre 1931. Il mio testo teatrale racconta uno di loro. Che nella propria storia raccoglie i pensieri e i gesti di tutti: l’incapacità della menzogna, il rigore illuminista del sapere, la noia per liturgie del fascismo. Ma anche l’intuizione sul destino del paese, sul modo in cui furbizie e conformismi avrebbero trasformato l’Italia di quegli anni in una terra senza libertà e senza decenza.

Si chiama Mario Carrara e fa il medico legale in un tempo ancora abituato a censire gli uomini e le anime con l’algida geometria di Cesare Lombroso: fronte, ossa, sguardo, fiato, pelle…Nella vita di Carrara – vedovo, solitario, ironico e inacidito al tempo stesso – c’è l’università che per lui è esercizio del dubbio volterriano. C’è la fantesca Tilde che lo accudisce, lo sfotte, lo scuote. C’è il suo corredo di pillole minute come un’unghia per sedare claustrofobie e gastriti. E c’è il carcere, dove Carrara da vent’anni va ad ascoltare, a lenire, a curare solitudini. Attorno a lui corre l’Italietta conformista dei primi anni del fascio, gli studenti con la tessera del Guf cucita nella tasca dei pantaloni, il finto perbenismo, la carriera, le conversazioni vaghe e discrete dei colleghi, le brume umide di una città del Nord…

Sulla politica, fatta di goliardia e di lettere maiuscole, Carrara nutre un disagio estetico più che ideologico. Gli sembrano ridicoli certi suoi studenti inamidati in camicia nera e pugnaletto. Gli vengono a noia le finte orazioni dei colleghi più anziani sulla patria e sul destino. Troppo poco per un turbamento o per una ribellione: la vita potrebbe scorrere senza pieghe…Finché accade qualcosa. All’inizio sono solo dettagli: passi di marcia lungo la strada, un detenuto bastonato in cella, la rassegnazione di certi colleghi, la tiepida prudenza di ragazzi che hanno solo metà dei suoi anni…

Lentamente attorno a sé Carrara percepisce l’agonia di un’Italia in cui molti capiscono cosa sta accadendo, ma pochi scelgono di stare dalla parte giusta. Non scelgono ebrei e liberali, che continuano a iscriversi a migliaia al partito fascista. Non sceglie la chiesa che cerca solo parole di benevola neutralità. Perfino socialisti e comunisti continuano a ritenere Mussolini solo un frutto del caso, un errore minore.

Quando il rettore gli comunica data e prescrizioni del giuramento – fedeltà al re e al duce – Carrara capisce di non poterlo fare. Non per eroismo. È che in quel giuramento, in quel rito a cui tutti si sottoporranno per lasciare quiete le loro esistenze, Carrara riconosce improvvisamente anche la propria vita: le pillole disposte in buon ordine sulla tovaglia dei suoi pranzi da vedovo, l’inconfessabile paura di accettare il corteggiamento di Tilde, l’estraneità per quei ragazzi a cui ha regalato il proprio sapere senza rivolgere loro mai una domanda di troppo. E invece le domande adesso sgorgano, impertinenti, necessarie: che ci fate a vent’anni con quel pugnaletto e la camicia nera?

Più che una ribellione, è il senso della decenza. Ma anche l’occasione per dare una sferzata alla propria vita. In quell’ultima lezione di verità ai suoi giovani avanguardisti e ai suoi rassegnati colleghi. In quell’amore sospeso per Tilde che ha trovato finalmente il coraggio e la spudoratezza di non rifiutare.

In una delle ultime scene, mentre gli altri professori – ligi e mansueti – pronunciano il loro giuramento, vedremo Carrara attraversare i camminamenti del carcere in cui ha sempre lavorato da medico legale: questa volta da detenuto, con i pantaloni larghi e i passi trascinati, perché gli hanno tolto cintura e stringhe. Non ha giurato. Non poteva. Non potrà mai più.

[Il giorno dopo le cattedre dei reprobi verranno immediatamente riassegnate. Nessuno dei nuovi docenti si tirerà indietro. Alla storia resteranno solo i nomi dei dodici che seppero dire di no a Mussolini. Mario Carrara fu uno di loro.]

Claudio Fava

Le musiche sono firmate da Cettina Donato, compositrice, arrangiatrice e pianista italiana, prima donna italiana a dirigere orchestre sinfoniche con repertorio jazz.

 

Orari spettacoli:

Lunedì: RIPOSO
Martedì, Giovedì, Venerdì: h. 20.30
Mercoledì e Sabato: h. 19.30 

Domenica: h. 16.30

 

Teatro Ciro Menotti

Via Ciro Menotti, 11,

20129 Milano MI

Tel.: 02 3659 2538

facebooktwitterinsta